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Il discorso di Joe Biden alla convention democratica: analisi del linguaggio verbale e non verbale

Il discorso di Joe Biden alla convention democratica: analisi del linguaggio verbale e non verbale

Poche ore fa si è concluso il discorso del candidato democratico alla Presidenza degli Stati Uniti d’America Joe Biden, durante la convention del partito democratico a Milwaukee.

Il linguaggio verbale: le parole che ha usato Biden

Cominciamo dall’analisi del linguaggio verbale, dalle parole che ha usato: quello di Joe Biden è stato un discorso che potremmo definire come “sulle montagne russe”, un continuo alternarsi di immagini negative e poi positive.

Ha alternato le parole “darkness” (oscurità), la formula “no miracle is coming” (non sta arrivando nessun miracolo),“I’m not looking to punish anyone” (non sto cercando di punire nessuno), a delle immagini positive “decency” (decenza), “compassion” (compassione), “I’ll protect America” (proteggerò l’america), “find the light once more” (trovare ancora una volta la luce).

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La comunicazione di Michelle Obama: linguaggio statico e di processo

La comunicazione di Michelle Obama: linguaggio statico e di processo

 “Ho a che fare con una lieve forma di depressione”: queste le parole che Michelle Obama ha usato poche ore fa nel suo podcast, disponibile su Spotify.

Non ha detto “I’m depressed” (“sono depressa”) ma “I’m dealing with some form of low-grade depression”, ovvero: “ho a che fare con” una lieve forma di depressione, appunto.

Sembra una sfumatura, ma fa molta differenza: se Michelle Obama avesse detto “sono depressa”, il suo linguaggio avrebbe suggerito immediatamente un’identificazione con quell’esperienza.

Dicendo invece “ho a che fare con” la depressione, ha dato una descrizione specifica di quello che le sta accadendo, non di quello che lei “è”.

La psicologia ci insegna la distinzione tra il linguaggio statico (che fa ampio uso del verbo essere), e il linguaggio di processo (che descrive ciò che ci accade in maniera fluida, più dinamica).

L’esempio di Michelle Obama sensibilizza il pubblico su un tema molto delicato: sì, anche lei ha a che fare con la depressione, e sì, per descriverlo non serve usare per forza il verbo essere.

Insegna così alle persone che esistono modi diversi per descrivere i propri stati interni, senza necessariamente dover “diventare” quello che proviamo.

Una grande lezione di comunicazione, che passa attraverso una piccola sfumatura di linguaggio.

© Patrick Facciolo – Tutti i diritti riservati, vietata la riproduzione.

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Il discorso di Renzo Piano per il nuovo ponte di Genova: la video analisi di Patrick Facciolo

Il discorso di Renzo Piano per il nuovo ponte di Genova: la video analisi di Patrick Facciolo

Recentemente l’architetto Renzo Piano ci ha insegnato come si fa un discorso perfetto. Sguardo rivolto verso il pubblico, nessun foglio prestampato davanti a sé. Solo riflessioni chiare, e le emozioni del momento.

Dopo un momento iniziale di storytelling (di narrazione) sulla storia del nuovo ponte di Genova, ha saputo usare le parole con grande sapienza (un ponte “costruito con rapidità, ma senza fretta”).

Ha fatto uso di similitudini (“un ponte che sia come una nave”) senza ricadere in troppe metafore, e ha coinvolto il pubblico (“c’è una cosa che voglio dirvi”).

Ha usato parole semplici e chiare (“È stato il più bel cantiere che ho avuto in vita mia”, “il Paese ha mostrato la parte buona”, e ancora: “costruire è una bellissima cosa”).

Ma soprattutto ha usato parole ad alto valore d’immagine, che creano immagini mentali efficaci: “I muri non bisognerebbe costruirli, quelli no, però i ponti bisognerebbe costruirli, farne tanti”. E ancora: “Questo ponte è stato costruito in acciaio, ma è stato forgiato nel vento”.

Per poi chiudere con un invito all’azione finale: “Auguro a questo ponte di essere amato, mi auguro che sia adottato dalla gente”.

Un “ponte che è semplice e forte”, ha detto Renzo Piano.

Così come è stato semplice e forte il suo discorso. In 6 minuti e 42 secondi.

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Perché Obama non cita più Trump nei suoi discorsi

Perché Obama non cita più Trump nei suoi discorsi

Negli ultimi tempi Barack Obama non cita più Donald Trump nei suoi discorsi in pubblico. Anziché pronunciare il suo nome, se la prende genericamente con il “Governo federale”.

Qual è la motivazione? Perché certe volte i politici smettono di citare i loro avversari nei propri discorsi?

Per non alimentare continuamente negli ascoltatori l’immagine mentale dell’avversario. Se dico il nome di Trump lo evoco direttamente, e il mio ascoltatore ne immagina la faccia. Dandogli più notorietà ogni volta che lo nomino.

Un tentativo che aveva fatto, a modo suo, anche Walter Veltroni nel 2008.

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