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Se hai bisogno di spiegarlo, non funziona

Se hai bisogno di spiegarlo, non funziona

Se hai bisogno di spiegarlo, non funziona.

È la frase ricorrente che dico ai miei corsisti quando preparano i loro discorsi in pubblico. Specie quando usano metafore, sottintesi, frasi difficili da capire.

E spesso per questo vengo preso per un cinico senza cuore. In realtà amo le figure retoriche, ma da professionista che ha fatto la radio per tanti anni, ho imparato che se le cose non vengono dette in modo chiaro, non arrivano al pubblico.

Le metafore, i sottintesi, i modi di dire sono belli e utili nell’arte, in letteratura, in tutti i contesti in cui il pubblico “sceglie” consapevolmente e intenzionalmente di dare attenzione al comunicatore, dedicando tempo e concentrazione.

Quando parliamo in pubblico, invece, spesso siamo noi a dover competere per quell’attenzione e coinvolgere chi ci ascolta. E la disponibilità di attenzione da parte del pubblico non è affatto scontata.

Per questo motivo, ancora una volta: “se hai bisogno di spiegarlo, non funziona”. E se comunque hai bisogno di spiegarlo, spiegalo, ma non lasciarlo mai sottinteso.

Frasi piane, parole chiare, linguaggio semplice: ecco il modo per stare vicini al nostro pubblico, senza escludere nessuno.

© Patrick Facciolo – Tutti i diritti riservati, vietata la riproduzione.

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No, gli individui non si dividono in visivi, uditivi e cinestetici

No, gli individui non si dividono in visivi, uditivi e cinestetici

No, il mondo non si divide in visivi, uditivi e cinestetici.E saperlo è molto importante anche per chi fa Public Speaking.

Perché ci permette di non avere preconcetti sul nostro pubblico.

La tesi per cui le persone si dividerebbero tra chi preferisce immagini, chi suoni, chi sensazioni, non è sperimentalmente dimostrata. E va detto in modo chiaro.

 

Lo studio sperimentale del 2009

Già nel 2009 un report pubblicato sulla rivista Psychological Science in The Public Interest riportava i risultati di diversi ricercatori di psicologia dell’apprendimento. Tra questi: Mark McDaniel dell’Università di Washington, Hal Pashler dell’Università di San Diego, e Robert Bjork dell’Università della California. Essi hanno dimostrato sperimentalmente come questa suddivisione dei metodi di apprendimento non sia sostenibile.

Hanno concluso che gli studi che sono stati fatti su questo tema non soddisfano i requisiti di randomizzazione. Ovvero non soddisfano requisiti di assegnazione casuale delle persone ai vari gruppi di ricerca. Tali requisiti devono risultare infatti sufficienti per rendere credibili le loro conclusioni.

 

L’importanza di farci domande su questioni (apparentemente) semplici

Questo caso, come altri simili, ci insegna che quando un modello esplicativo della realtà (un modo per spiegare ciò che ci circonda) è troppo semplice da capire, è il momento per farci delle domande.

Quando ci piace una teoria, ci affascina, ed è semplice da comprendere, è importante saperci fermare un momento e chiederci: “Siamo sicuri che sia proprio così?”.

Questo perché la realtà non è semplice, è articolata.

 

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Da che parte dell’inquadratura deve stare l’intervistatore nelle video interviste?

Da che parte dell’inquadratura deve stare l’intervistatore nelle video interviste?

Da che parte dell’inquadratura dobbiamo stare quando intervistiamo qualcuno sul web, all’interno di un webinar oppure all’interno di un video da pubblicare sui social o su YouTube?

A sinistra, seguendo il senso di lettura, che va appunto da sinistra verso destra.

L’intervistatore sarà il primo a parlare, per questo la collocazione a sinistra dello schermo favorirà il senso di lettura: comincia l’intervistatore, e lo sguardo del mio ascoltatore si poserà naturalmente a sinistra. Poi parlerà l’intervistato, e lo sguardo si sposterà naturalmente a destra.

La risposta a domande come questa segue un criterio di senso: ciò che favorisce una fruizione più lineare e coerente da parte del nostro pubblico, è ciò che dovremmo mettere in pratica per rendere più efficace la nostra comunicazione.

Ricapitolando: in linea generale, il conduttore dell’intervista sta nella finestra a sinistra dello schermo. A destra sta l’intervistato, come ci insegna spesso anche l’esperienza televisiva.

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È giusto ringraziare il pubblico per le domande?

È giusto ringraziare il pubblico per le domande?

È giusto “ringraziare per la domanda”, quando il pubblico ci chiede qualcosa? In linea generale, sì. È un tema che mi è venuto in mente osservando l’imitazione che Maurizio Crozza fa di Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, che nelle sue conferenze stampa ringrazia sempre i giornalisti.

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