Mindfulness and Public Speaking: why meditation can be useful for those who speak in public
© Parlarealmicrofono.it – Tutti i diritti riservati, vietata la riproduzione.
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Di ritorno dalla settimana di Sanremo, in queste ore ho letto spesso frasi del tipo “questa canzone è bella”, “questa canzone è più bella di quest’altra”. Si tratta di affermazioni che ci possono far riflettere sull’uso che facciamo abitualmente del linguaggio per descrivere le cose.
In questo senso: siamo proprio sicuri che una canzone si possa definire “bella” o “brutta” in assoluto? O forse, prima di attribuirle un aggettivo che la descrive in maniera così definitoria, avrebbe più senso dire che “ci piace” o “non ci piace”, sulla base della nostra particolare e circostanziata visione attuale del mondo?
Questa seconda via, apre spazio alla nostra soggettività: una canzone che oggi ci piace, domani potrebbe non piacerci più. E allo stesso tempo, una canzone che “ci piace”, ci dà lo spazio per cogliere e descrive il limite per cui potrebbe non piacere a qualcun altro.
Il linguaggio può portarci a descrivere in maniera statica la realtà, o permetterci una descrizione più accurata e precisa, per cui diventiamo in prima persona protagonisti dei nostri verbi e della nostra relazione con le cose.
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Sempre più spesso (soprattutto quando si parla di politica), ci capita di assistere a comunicatori che “la sparano grossa”, che dicono frasi altisonanti e apparentemente fuori contesto (off topic), e che finiscono così per catturare l’attenzione del pubblico e dei media.
In questi casi, siamo sicuri che rispondere nel merito (on topic), sia la soluzione migliore per replicare con efficacia? In questa puntata vi racconto quali sono i rischi di replicare a chi la spara grossa: il fatto stesso di replicare implica di dover riepilogare l’affermazione originaria, per poi negarla. Con il rischio di amplificare, una volta di più, proprio gli stessi contenuti che non condividevamo.
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In questi giorni si discute molto della parziale apertura da parte dell’Accademia della Crusca sull’utilizzo di formule come “siedi il bambino” o “esci il cane”, cioè dell’uso transitivo di verbi che fino a poco tempo fa non erano considerati tali.
Personalmente, penso che siamo noi gli attori del linguaggio: noi stessi, attraverso il nostro uso, modifichiamo giorno dopo giorno le abitudini consolidate con cui ci esprimiamo. Questo non significa dimostrare noncuranza o ignorare le regole della grammatica. Significa accettare l’idea che l’italiano, lentamente, cambia, anche sulla base dell’uso.
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