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Paura di arrossire in pubblico: si può superare? Gli altri se ne accorgono?

Paura di arrossire in pubblico: si può superare? Gli altri se ne accorgono?

Perché diventiamo rossi in viso?

Perché quando parliamo in pubblico certe volte diventiamo rossi? Davvero chi ci guarda se ne accorge sempre? E anche se fosse: siamo certi che arrossire venga considerato un aspetto negativo?

Lo dice già la parola stessa: il Sistema Nervoso Autonomo (SNA), che coordina molti meccanismi involontari del nostro corpo, svolge le sue attività in autonomia rispetto alle nostre intenzioni.

Il meccanismo, semplificando molto, funziona così: nel corpo viene rilasciato l’ormone dell’adrenalina, che provoca l’accelerazione del battito cardiaco e la dilatazione dei vasi sanguigni – ricordiamo che il nostro viso ha moltissimi capillari – aumenta il flusso di sangue nel viso, e aumentando il flusso di sangue compare l’arrossamento (e talvolta può aumentare anche la sensazione di calore che proviamo in quell’area).

 

Se divento rosso in pubblico, le persone si accorgeranno del mio imbarazzo?

Vorrei soffermarmi proprio su questo, e fare una riflessione di tipo psicologico: cioè sulla differenza tra ciò che percepiamo e ciò che percepiscono le persone che ci osservano.

Già diversi mesi fa avevo fatto un video sul cosiddetto effetto spotlight. In psicologia sociale si parla di effetto spotlight quando siamo di fronte alla nostra tendenza a sopravvalutare l’attenzione che danno gli altri a nostri particolari comportamenti o caratteristiche. Si tratta di una tendenza che è stata dimostrata attraverso diversi studi.

Sono simili le conclusioni di un altro studio, che è quello sull’illusione di trasparenza, a cui ho dedicato un secondo video. Si tratta della tendenza a considerare trasparenti agli altri le nostre emozioni. Talvolta tendiamo a sopravvalutare la capacità degli altri di capire le nostre emozioni, semplicemente guardandoci.

La sintesi direi che è interessante anche sul tema del rossore in viso. Il fatto che io sia consapevole che talvolta arrossisco in pubblico, e

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Come il linguaggio condiziona la nostra realtà

Come il linguaggio condiziona la nostra realtà

Quanto le parole che usiamo per descrivere il mondo condizionano la nostra rappresentazione della realtà? Ne ho parlato nel mio libro del 2019 “Parlare in pubblico con la mindfulness“, e voglio tornare a parlartene in questo post.

“Che brutta giornata”: un esempio di linguaggio statico

All’interno del libro faccio un esempio: se io dico “che brutta giornata”, sto attribuendo all’esterno una causa che in realtà riguarda me: sono io che per una serie di circostanze percepisco legittimamente quella giornata come brutta, ma non è la giornata in sé a esserla.

Se ad esempio fuori da casa nostra piovesse, e noi potessimo chiedere la stessa cosa a un albero, che attraverso la pioggia si può nutrire, probabilmente non penserebbe affatto che quella giornata sia brutta. Alla stessa maniera, se io dico “che brutto tempo” sto semplicemente precisando che il fatto di essere di fronte a “una brutta giornata” si riferisce all’aspetto metereologico. Ma ancora una volta, questa descrizione della realtà esprime un giudizio che non è nelle cose, ma riguarda noi.

“Piove, e non mi piace”: un esempio di linguaggio di processo

Se però in definitiva io dicessi: “piove, e non mi piace”, sarei finalmente arrivato a una descrizione che potremmo definire “di processo”. Quello che posso notare oggettivamente è che “fuori dalla mia casa piove, e questo non mi piace”. Ed è molto diverso riuscire a riconoscere questa sfumatura, rispetto all’idea che si tratti di una “brutta giornata” in sé.

Ne parlo in questo estratto dal mio ultimo intervento al Festival dell’Oriente di Padova, proponendo la distinzione psicologica tra linguaggio statico e linguaggio di processo, di cui mi sono occupato ampiamente nel mio libro del 2019 “Parlare in pubblico con la mindfulness”.

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Tu ci sei nelle mie parole: l’importanza di citare il nostro pubblico

Tu ci sei nelle mie parole: l’importanza di citare il nostro pubblico

Quando in un discorso utilizzo il “voi”, sto facendo capire a chi mi ascolta che mi sto rivolgendo direttamente una moltitudine di persone.

Questa modalità è utilizzabile anche nel Public Speaking? Certamente sì, perché se conduco una riunione o una presentazione in pubblico e non cito mai il pubblico, ma mi limito soltanto a usare i contenuti, per esempio dicendo: “Oggi sono qui per mostrare le percentuali di fatturato della nostra azienda”, mi chiedo: dov’è il pubblico?

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Parlare in pubblico: come usare le metafore durante un discorso

Parlare in pubblico: come usare le metafore durante un discorso

Quando ascoltiamo un discorso in pubblico può capitarci di sentire frasi del tipo: “Fuori da questa sala piove, ma qui dentro splende il sole”. In questo caso abbiamo a che fare con una metafora, poiché è evidente che il sole non splenda per davvero dentro quella sala.

Per capire se questo tipo di comunicazione è efficace, sarebbe curioso fare la prova opposta. Uscire da quella sala, e chiedere al primo passante: “scusi, lo sa che qui fuori piove, ma lì dentro splende il sole?”. Ci diventerebbe a quel punto chiaro come, cambiando il contesto, la frase risulti totalmente incomprensibile.

 

Metafore e comunicazione politica

In comunicazione politica accade un po’ la stessa cosa. Pensiamo a quando Pierluigi Bersani parlava di “Smacchiare il giaguaro”, riferendosi alla volontà di sconfiggere Silvio Berlusconi. In particolare, mi sono occupato di questo aspetto della comunicazione di Pierluigi Bersani in questo video.

Se proponessimo oggi la stessa frase a un ventenne, probabilmente non la capirebbe. Ma se gli dicessimo, più semplicemente, che Pierluigi Bersani voleva sconfiggere Silvio Berlusconi, cosa cambierebbe?

Cambierebbe che, senza utilizzare alcuna figura retorica, la comunicazione molto probabilmente andrebbe a buon fine.

 

Dalla metafora alla similitudine

In generale, credo sia buona norma fare attenzione alla distinzione tra metafore e similitudini. Mentre la metafora ci comunica in modo implicito un’analogia tra due situazioni, e ci costringe a decodificarla, la similitudine utilizza il “come” per esplicitare che si tratta proprio di un’analogia, e in questo modo viene fraintesa più difficilmente.

Lo sa che qui fuori piove, ma lì dentro è COME se splendesse il sole?

Usando la similitudine cambia solo una parola (il “come”). Ma in realtà, come abbiamo visto con questo semplice esempio, cambia tutto.

Ne parlo in questa conferenza tenuta presso l’associazione Freelance Network a Milano.

 

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