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Quando parliamo in pubblico il target non esiste: ecco perché.

Quando parliamo in pubblico il target non esiste: ecco perché.

La parola “target”, che significa “bersaglio”, è molto usata in comunicazione, e di conseguenza anche quando ci occupiamo di Public Speaking, di arte di parlare in pubblico.

“Target” è l’alibi che spesso ci diamo per giustificare la nostra comunicazione contorta, incomprensibile, metaforica, piena di rimandi e di figure retoriche.

“Perché tanto il mio target mi capisce”. Ma questo lo decidiamo noi per gli altri.

Il target è la scusa che ci diamo per non semplificare i messaggi, per parlare con alcuni ed escludere altri, per dirci che l’altro è catalogabile sulla base di cultura, censo, caratteristiche e comportamenti.

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Superare la zona di comfort: sfatiamo il mito

Superare la zona di comfort: sfatiamo il mito

La frase “Supera la tua zona di comfort” è ormai diventata un mantra. È una massima che secondo alcuni andrebbe rispettata sempre e comunque. Questo, per raggiungere standard prestazionali migliori.

Ma siamo proprio sicuri che sia sempre e comunque l’unica via per un benessere maggiore? E vale anche in comunicazione e nei contesti di Publlic Speaking?

In questa puntata racconto che superare le nostre zone di comfort a prescindere può significare aderire a una visione “capitalistica” del comfort stesso. Una visione per cui, non appena abbiamo raggiunto una situazione confortevole, c’è subito qualcun altro che ci invita a trascenderla, per conseguirne una migliore.

Ancora una volta, la parola chiave per ciascuno di noi è “consapevolezza”. Consapevolezza di “come mi sento”, e di cosa intenda fare per davvero. Non solo perché l’ho letto su un manuale, oppure perché me l’ha detto un video motivazionale trovato per caso su internet.

Ma perché abbiamo maturato una consapevolezza adeguata di noi stessi. E abbiamo deciso come comportarci in una determinata situazione.

 

© Patrick Facciolo – Tutti i diritti riservati, vietata la riproduzione.

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Webinar gratuito con Patrick Facciolo: “Perché controllare le impressioni degli altri è un’illusione”

Webinar gratuito con Patrick Facciolo: “Perché controllare le impressioni degli altri è un’illusione”

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Perché controllare le impressioni degli altri è un’illusione? Ne parlerò venerdì 12 febbraio in un webinar gratuito su Zoom.

Sarebbe molto comodo presentarvi un mio corso insegnandovi come controllare il giudizio delle persone, come usare la voce in modo persuasivo, come essere certi di dire sempre le cose giuste in ogni situazione.

Ma penso che questi obiettivi, in questi precisi termini, non siano raggiungibili. Perché non ci sono soltanto le parole che diciamo noi, ma c’è anche il “come” le nostre parole vengono ricevute.

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Sguardi e mascherine: quella persona mi starà sorridendo?

Sguardi e mascherine: quella persona mi starà sorridendo?

Le persone che indossano la mascherina talvolta ci sembrano più serie e severe del solito. E c’è un perché.

Diversi studi psicologici hanno catalogato nel corso dei decenni vari tipi di sorrisi: non mi interessa qui ragionare sul loro significato (tema molto controverso), ma su quelli che non prevedono un coinvolgimento diretto degli occhi.

Tra questi, individuati da Paul Ekman:

1. SORRISO DI COORDINAZIONE: sorriso lieve, solitamente asimmetrico, che non coinvolge i muscoli orbicolari degli occhi;

2. SORRISO DI RISPOSTA DELL’ASCOLTATORE: si tratta di un particolare sorriso di coordinazione, che ci fa capire che l’altro ha capito quello che gli stiamo dicendo.

Questi sorrisi hanno una funzione sociale importante. Quando guardiamo qualcuno che indossa la mascherina, non riusciamo a decifrare queste diverse modalità di sorriderci, poiché non coinvolgono a sufficienza i muscoli orbicolari degli occhi.

È importante quindi uno sforzo di consapevolezza per capire che non è per forza l’altra persona a essere seria o severa nei nostri confronti, ma siamo noi che non riusciamo a decodificare il tipo di messaggio che ci sta mandando.

Semplicemente perché ha la bocca e il naso coperti.

Nel parlo in questo video, aggiungendo alcune riflessioni sulla distinzione tra osservazione e interpretazione dei messaggi dei nostri interlocutori, e sull’importanza della mindfulness (consapevolezza) per riconoscere meglio i nostri pensieri e le nostre emozioni.

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