I politici italiani sanno regolare le loro emozioni?
La regolazione emotiva è un processo importante in comunicazione politica. Analizziamolo meglio in questo post.
Giuseppe Conte che strepita in aula contro la premier mandando in saturazione il microfono.
Giorgia Meloni che procrastina per due volte la conferenza stampa di fine anno (ufficialmente per motivi di salute). E che nel corso dell’anno non affronta per più volte le domande dei giornalisti.
La stessa Meloni che spesso nei suoi discorsi alle Camere perde la pazienza e inveisce contro le opposizioni. Con tono e volume di voce esacerbati.
Elly Schlein che se le poni una domanda chiusa (che prevede un “sì” o un “no”), reagisce subito allo stimolo della domanda. Senza prendersi il tempo per valutare se gli effetti di una risposta immediata possano danneggiarla o favorirla.
Il ministro Crosetto che risponde con parolacce ai commenti dei sui follower su X.
E la lista potrebbe andare avanti a lungo.
In tutto questo mi chiedo: i nostri politici hanno sviluppato una buona capacità di regolare le proprie emozioni in condizioni di stress?
Per regolazione emotiva, in psicologia, si intende quel processo attraverso il quale le persone riescono ad avere consapevolezza delle proprie emozioni, riuscendo a modularne la loro espressione.
Questo processo include la capacità mantenere, per quanto possibile, la calma in situazioni stressanti. Per un politico si tratta di una qualità essenziale per mantenere relazioni interpersonali sane. E per non spaventare gli elettori, comunicando in modo più assertivo.
Gli strumenti che offre la psicologia per migliorare queste competenze sono molti. Dalla mindfulness (pratiche per favorire la consapevolezza di ciò che accade nel momento in cui accade), al training autogeno, al biofeedback, alle visualizzazioni guidate.
Ebbene, a giudicare da quello che vediamo ogni giorno sui nostri schermi, siamo certi che i nostri politici abbiano maturato queste competenze? O che siano sufficientemente sviluppate?
Si tratta di un aspetto importante. Perché noi cittadini guardiamo alla comunicazione dei politici come a un esempio. E tendiamo a replicare i loro comportamenti pubblici per un processo imitativo noto in psicologia e nelle scienze sociali (teoria dell’apprendimento sociale e altre).
Sintetizzando: se comunicano male loro, impariamo a comunicare male noi.
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