Alcuni giorni fa ho presentato il mio nuovo libro, “Parlare in pubblico con la mindfulness“, alla Content Marketing Academy di Alessio Beltrami. Al termine del mio intervento Alessio ha dato la parola al pubblico per eventuali domande, ed è successa una cosa molto particolare che voglio riproporvi in questo video di un minuto.
“Non sono capace di parlare in pubblico”: ecco una frase che mi capita di sentire spesso durante i corsi di Public Speaking che tengo in tutta Italia. Ma siamo davvero certi che questa soluzione linguistica descriva in modo accurato la nostra effettiva capacità di fare Public Speaking?
Negli anni ’60, i teorici di E-Prime (English Prime) hanno postulato la possibilità di una lingua inglese che potesse fare a meno del verbo “essere”: si sono dati come regola quella di descrivere la realtà in maniera più precisa, non limitandosi a indicare le cose come “sono”, bensì come “ci appaiono”.
All’interno del mio libro, “Parlare in pubblico con la mindfulness”, che ho presentato recentemente presso la sede dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia, faccio alcuni esempi sugli effetti che potrebbe avere limitare l’uso del verbo essere quando ci occupiamo di Public Speaking.
Ecco allora che la frase “Non sono capace di parlare in pubblico” potrebbe diventare improvvisamente: “Nelle due occasioni in cui ho parlato in pubblico di fronte a una platea numerosa, ho avvertito stress”.
Un passaggio che può apparirci solo formale e terminologico, ma che al contrario può regalarci una serie di osservazioni inedite sulle nostre (reali) capacità di parlare in pubblico.
Ho appena letto questo articolo (che trovo ampio e interessante) sull’arte di parlare in pubblico. Sono rimasto un po’ perplesso su un aspetto, che ritorna spesso quando sento parlare di Public Speaking: l’idea di dover parlare in pubblico PER persuadere, PER convincere, PER realizzarci sul lavoro, eccetera.
È proprio l’aggiunta di quel “PER” che non mi convince fino in fondo: ci siamo mai chiesti se la finalità di parlare in pubblico possa essere semplicemente quella di parlare in pubblico, e basta?
Credo che si possa parlare in pubblico anche semplicemente condividendo informazioni e conoscenza, e non per forza per convincere qualcun altro a fare qualcosa (in molte aziende per cui faccio formazione da anni, nella maggior parte dei casi è proprio così).
Il fatto che spesso parlare in pubblico e persuadere diventino concetti sovrapposti, trovo non renda giustizia all’idea profonda del comunicare, cioè quella di “mettere in comune” dei contenuti.
Che poi quell’azione possa generare una risposta (positiva) dell’interlocutore alle nostre aspettative, è tutta un’altra partita. Una distinzione secondo me da tenere ben chiara, quando parliamo di Public Speaking a tutti i livelli.
Nei video di questi ultimi mesi mi sono occupato molto di quanto sia
importante la meditazione mindfulness per migliorare la nostra gestione
dello stress da Public Speaking.
Già, ma in che modo la meditazione può cambiare effettivamente il nostro cervello? Numerosi studi dimostrano che le esperienze possono modificare nel corso del tempo la struttura cerebrale sulla base delle nostre esperienze, processo che in ambito neuroscientifico va sotto il nome di “neuroplasticità”.
In particolare, alcuni studi dimostrano che praticare la meditazione può ridurre le dimensioni dell’amigdala (una ghiandola posta all’interno del sistema limbico, una delle aree centrali nel cervello, in grado di determinare la nostra risposta emotiva, in particolare quella legata alla paura), e ispessire la corteccia prefrontale, determinante in alcune attività cosiddette “superiori”, tra cui la razionalità e le capacità attentive.
Attraverso una sintesi della cosiddetta “teoria dei tre cervelli” di Paul MacLean, l’utilizzo di un modellino e una breve rassegna di studi, in questa puntata – tratta dal mio intervento di venerdì sera alla Casa della Psicologia dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia – racconto come la meditazione è in grado di modificare il nostro cervello.
Taren AA, Creswell JD, Gianaros PJ (2013) Dispositional Mindfulness Co-Varies with Smaller Amygdala and Caudate Volumes in Community Adults. PLoS ONE 8(5): e64574.
Lazar SW, Kerr C, Wasserman RH, Gray JR, Greve D, et al. (2005) Meditation experience is associated with increased cortical thickness. NeuroReport 16: 1893–1897.
Eileen Luders, Florian Kurth, Emeran A. Mayer, Arthur W. Toga, Katherine L. Narr, Christian Gaser. The Unique Brain Anatomy of Meditation Practitioners: Alterations in Cortical Gyrification. Frontiers in Human Neuroscience, 2012
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