Ricordo perfettamente la prima volta in cui ho cominciato ad ascoltare la musica di Gianni Togni: era il 2001, la mia prima sera a Milano da studente universitario. Il giorno stesso avevo comprato in Piazza del Duomo un suo cd, che si intitolava, manco a farlo apposta, “Luna”.
Conteneva alcune delle sue canzoni più famose: Attimi, Semplice, Ombre cinesi, Maggie, Chissà se mi ritroverai e tante altre. Da lì ho cominciato a collezionare i suoi vinili, qualche anno dopo (e per molti anni) a fare radio, e per tanto tempo mi è rimasto un cruccio: “Riuscirò prima o poi a intervistarlo?”.
Sono rimasto con questo dubbio fino alla settimana scorsa. Poi, quando finalmente è arrivato il momento di incontrarlo, ho capito perché. “Preferisco sia la musica a vincere, non la faccia dell’artista”: con queste parole Gianni Togni descrive perfettamente il suo approccio alla musica, e al mondo dello spettacolo in generale. Poche interviste, poche apparizioni in televisione, presenza sui social quanto serve (“non li uso per dire cosa sto mangiando o dove vado in vacanza”), e per parlare di musica.
Gianni Togni non sembra fare musica per compiacere qualcuno, non pubblica album “perché va fatto”, non va in televisione se è solo per cantare i suoi classici (a cui deve molto, e che, come dice lui, gli permettono di fare quello che fa oggi).
Ama quello che fa, scrive come e quello che gli piace, sta sui social quanto basta, e non va a Sanremo (“se è una vetrina va usata per chi ne ha bisogno: a Sanremo chiamerei molti più giovani”).
Una chiacchierata in cui abbiamo parlato del presente e le sue scelte – “Futuro improvviso” è il titolo del suo nuovo album, registrato in analogico -, del passato, dagli studi in lettere fino alla carriera di