La psicologia delle fake news: dalle immagini mentali ai rischi del debunking
Quando parliamo di “fake news” ci riferiamo a notizie false (talvolta definite più semplicemente “bufale”), non comprovate da evidenze sufficienti e soddisfacenti. Si tratta di un fenomeno di cui si parla molto in questi ultimi anni, con la diffusione capillare del web e dei social network.
I rischi del debunking
L’atto di smentire una fake news va sotto il nome di “debunking“, smascheramento, e ci sono migliaia di giornalisti in tutto il mondo che si dedicano a questa attività. Tuttavia, paradossalmente, quando tentiamo di smascherare una fake news (una notizia falsa), talvolta potremmo correre il rischio di amplificarla.
Succede per un fenomeno trattato in psicologia per cui, per negare qualcosa, prima di tutto ce la rappresentiamo mentalmente, per poi applicare a quella stessa immagine mentale la categoria di negazione.
“Non pensare all’elefante”: linguistica, psicologia e neuroscienze
Si occupa di questi aspetti (riferendosi nello specifico alla comunicazione politica) lo studioso George Lakoff nel suo “Non pensare all’elefante”, uscito recentemente in edizione italiana. Il paradosso è che per “non pensare a un elefante”, dobbiamo necessariamente pensarci.
Ma gli esempi sono notevoli anche in ambito psicologico: Russ Harris, famoso medico psicoterapeuta, nel suo “La trappola della felicità” fa esempi simili (pur occupandosi di un altro argomento) per sottolineare come non sia possibile “non pensare” intenzionalmente a qualcosa.
Curioso poi scoprire come anche le neuroscienze possano indirettamente darci una mano sul tema delle fake news: ci sono studi che dimostrano come la manipolazione di immagini mentali attivi le stesse aree del cervello che vengono utilizzate quando guardiamo effettivamente la realtà attraverso il senso della vista (nello specifico, tra le altre, la corteccia visiva e il cervelletto).
Dalla causalità diretta alla causalità sistemica
Alla stessa maniera, tornando a Lakoff, direi che quando parliamo di fake news potremmo utilizzare un’altra distinzione molto efficace che propone nel suo libro, ovvero quella tra causalità diretta e causalità sistemica.
Secondo la causalità diretta, quando individuiamo una causalità diretta tra due fenomeni, finiamo per affermare la loro correlazione causale in maniera semplicistica: a causa b (nell’esempio che ho fatto nel mio video: “Dato che a maggio ha fatto freddo, Greta Thunberg ha torto).
Ma dato che le cause e gli effetti nella realtà sono concatenati (causalità sistemica), l’esempio andrebbe modificato nell’esatto opposto, ovvero in “Dato che a maggio ha fatto freddo, Greta Thunberg ha ragione”.
Si tratta di temi che mettono il mondo del giornalismo e quello della psicologia di fronte a nuovi interrogativi, prospettive e scenari, impensabili solo fino a pochi anni fa. Mi occupo di questi aspetti in questo intervento che ho svolto qualche tempo fa come freelance al Festival del Giornalismo di Ronchi dei Legionari, in provincia di Gorizia.
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Dott. Patrick Facciolo
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