I personaggi famosi sono timidi?
Nel post di oggi ci occupiamo ancora una volta di linguaggio, e in particolare di come le parole che utilizziamo per descrivere la realtà possano modificare la percezione che abbiamo di noi stessi e del mondo che ci circonda.
Per quanti di voi fossero interessati, è un tema che ho affrontato già tre anni fa nel mio libro “Parlare in pubblico con la mindfulness” del 2019.
In questo video vi propongo un estratto di una mia conferenza svolta nel 2019 in cui torno a parlare di emozioni e di come anche i personaggi famosi possano sentirsi timidi.
Può sembrare strano, soprattutto se pensiamo che si tratta di personaggi che abitualmente parlano e si rivolgono a milioni di persone, eppure è legittimo che dichiarino di sentirsi timidi, perché questo è un aspetto che dipende molto dal contesto in cui ci si trova.
Sappiamo infatti che ci sono situazioni in cui ciascuno di noi si può sentire timido, ma non significa necessariamente che siamo timidi in ogni circostanza.
Paura di parlare in pubblico o del contesto?
Quando noi abbiamo la febbre non diciamo che siamo la febbre, perché diamo per scontato che si tratti di un processo di attraversamento. La febbre arriva e allo stesso modo se ne va.
Tuttavia, la cosa strana del nostro linguaggio, è che quando invece parliamo di stati interni tendiamo a utilizzare il verbo essere, cioè diventiamo questi stati interni. Così quando parlo in pubblico “sono agitato“, oppure “non sono capace di parlare in pubblico”.
Potete notare come, in questo modo, il verbo essere ci categorizza in una situazione in cui la “febbre” non passa mai. “Non sono capace di parlare in pubblico”, infatti, è una definizione statica, che mi mette nelle condizioni di dire a me stesso e agli altri che questa cosa non la posso fare.
Già negli anni Sessanta, alcuni ricercatori statunitensi si sono cimentati in questi apparenti giochi linguistici, provando a inventare una lingua (chiamata “E-Prime”, di cui mi sono già occupato in questo video di tre anni fa, oltre che nel mio libro) che escludesse tutte le forme del verbo essere. In questo senso, ad esempio, se dovessimo parlare del tempo non diremmo che il tempo è brutto, semmai potremmo dire che piove.
Cosa succederebbe se provassimo a fare lo stesso esercizio declinandolo sul Public Speaking, cioè l’arte di comunicare in pubblico?
Se traducessimo l’affermazione “non sono capace di parlare in pubblico” in un linguaggio di processo, potremmo dire: “nelle due occasioni in cui ho parlato in pubblico, di fronte a una platea numerosa, ho avvertito stress”.
Possiamo notare subito come, in questo modo, la situazione viene ridimensionata e cambia notevolmente: per prima cosa ci rendiamo conto che è successo due volte, di fronte a una platea numerosa. E magari in quella platea numerosa c’era anche l’amministratore delegato dell’azienda, e da quella presentazione dipendeva un avanzamento di carriera della stessa persona.
I limiti dell’utilizzo del verbo essere
Come abbiamo appena visto, quando ricorriamo al verbo essere la realtà diventa statica e siamo costretti a delle rinunce specifiche. Riduciamo infatti la possibilità di considerare ipotesi alternative sulla nostra interpretazione del mondo che ci circonda e riduciamo la possibilità di considerare che il nostro sia solo uno dei punti di vista possibili.
Infine, riduciamo la possibilità di considerare che quello che accade durante una determinata esperienza non è detto che accadrà di nuovo nella stessa modalità.
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