Il mio blog: le tecniche per parlare in pubblico

Come affrontare l’imbarazzo della webcam: 3 spunti di consapevolezza

Come affrontare l’imbarazzo della webcam: 3 spunti di consapevolezza

“Affrontare l’imbarazzo”, senza scacciarlo

Come affrontare l’imbarazzo della webcam: se un po’ mi conoscete sapete che in questi casi non amo il verbo “scacciare”, “risolvere” o “allontanare”. Questo perché se l’imbarazzo c’è, è qualcosa che evidentemente aveva ragione di emergere in un dato momento, e non sempre dobbiamo spazzare via tutto così di fretta, ammesso che poi si possa davvero farlo poi con tutta questa semplicità.

Cominciamo col raccontare che non è la webcam a crearci imbarazzo, ma che siamo noi a provare imbarazzo rispetto alla webcam: questa è una sfumatura da sottolineare molte volte in cui parliamo di stress. In generale, possiamo dire che la webcam è uno stressor neutro, cioè non è la webcam di per sé che ci stressa, ma siamo noi a valutare questa esperienza come eccedente le nostre risorse.

Questo è un tema molto importante, perché se capiamo che non è la webcam in sé il problema, ma il fatto che è la richiesta dell’ambiente a eccedere le nostre risorse attuali, sappiamo che possiamo lavorare su quest’area per migliorare il nostro rapporto con questa esperienza.

Cosa non ci piace quando parliamo alla webcam

Per cominciare, potremmo cercare di capire cosa troviamo spiacevole nell’esperienza della webcam. In questo senso potremmo farci una domanda: qual è la cosa che trovo più spiacevole nell’utilizzare la webcam?

Le risposte potrebbero essere tante: il fatto di rivedermi sullo schermo per esempio, il fatto che non mi piace la mia immagine ripresa, il fatto che gli altri mi possano vedere senza che io possa più “controllare” quell’immagine. Se per esempio sto facendo una diretta web, magari non mi va che dietro di me si veda casa mia, o le luci non mi piacciono come vorrei, o l’inquadratura non mi sembra professionale.

O ancora altre variabili, che in realtà noi attribuiamo alla webcam, ma riguardano altri aspetti. Vi cito per esempio alcune frasi che sento dire di solito dai miei corsisti: “Quando mi riguardo non mi piace come parlo perché le frasi che dico non mi sembrano abbastanza chiare“, oppure ancora: “Non mi piace usare la webcam perché non mi piace la mia voce“, oppure: “Non mi piace riguardarmi alla webcam, perché faccio delle facce strane, delle espressioni strane”.

Perché vi ho fatto tutto questo elenco? Innanzitutto per farvi capire in maniera più chiara quanto sia importante prendere consapevolezza di cosa davvero non ci piace di questa esperienza, e che se riduciamo tutto a delle frasi del tipo “non mi piace parlare alla webcam”, perdiamo un’opportunità.

Il ruolo delle aspettative nella nostra performance alla telecamera

Potremmo invece dire che ciascuna di queste frasi che vi ho citato ha una sua dignità e merita uno spazio per essere accolta da noi stessi. Molti degli esempi che ho fatto si riferiscono a una parola che potrebbe sintetizzarli, e questa parola spesso è: aspettativa.

Abbiamo cioè in mente un ideale di come il video e la nostra immagine dovrebbero essere, per essere accettabili. Ecco che allora ogni volta che quella ripresa si allontana da questa aspettativa, improvvisamente l’atto di parlare alla webcam per noi può diventare spiacevole.

E questo è il secondo passaggio di consapevolezza che vi invito a fare: quando diciamo che non ci piace risentire la nostra voce, che non ci piacciono le nostre smorfie, quanto è per questo ideale a cui tendiamo e in cui non ci riconosciamo, e quanto invece “davvero” quella performance è così scadente e discutibile?

E ancora, vi invito a un terzo passaggio di consapevolezza: quanto siamo certi che le cose che non ci piacciono verranno notate da chi ci ascolta e verranno giudicate alla stessa maniera in cui le giudichiamo? Siamo sicuri che quelle parole che non ci piacevano, quella voce che non ci convinceva, quelle smorfie che noi avevamo riconosciuto, verranno notate e giudicate dagli altri?

Quante volte avete visto un vostro amico riguardare una sua foto e criticarsi in quella foto, quando voi invece non notavate nulla di strano e lo trovavate perfettamente in forma rispetto a come eravate abituati a vederlo di solito?

Il fenomeno dell’attenzione selettiva

In psicologia questo fenomeno va sotto il nome di “attenzione selettiva”, ed è quel fenomeno per cui di fronte a stimoli molteplici che ci arrivano dal mondo esterno, noi ne selezioniamo alcuni in particolare, su cui poggiamo la nostra attenzione. È un po’ come se guardassimo una porzione di realtà con una lente di ingrandimento, che non è detto che gli altri usino, e che la usino allo stesso modo.

E può succedere proprio le volte che diciamo che quell’immagine di noi non ci piace, che non ci piacciono le nostre smorfie, e che non ci piace la nostra voce. Molto più spesso, la risposta sta nel fatto che non siamo abituati a guardarci, non siamo abituati a guardare i movimenti del nostro viso, non siamo abituati ad ascoltare la nostra voce.

Esercizi pratici per migliorare il comfort con la webcam

In generale mi sentirei di dirvi che la webcam, a differenza di altre modalità di comunicazione ha dei vantaggi: vi permette di fare quante prove volete, vi permette di fare esercizio, vi permette di farle senza per forza dover pubblicare contenuti, di farle permettendovi nel tempo di perfezionare la vostra comunicazione.

Provare a registrare dei video per fare esercizio, magari ogni giorno, anche solo un paio di minuti, solo per voi, perché possiate rivederli e cancellarli subito dopo, bene, questo forse potrà cominciare a darvi un primo comfort col mezzo e potrebbe farvi relazionare meglio con la vostra immagine registrata.

Potete provare anche ad arricchire questa immagine con un’inquadratura che possa effettivamente valorizzarla, perché certe volte non c’è niente che non vada nella nostra immagine ripresa, ma è il contesto che è intorno a sembrarci poco convincente, e non ce ne rendiamo conto. Quindi cerchiamo in casa un ambiente se ce l’abbiamo a disposizione un po’ più luminoso, e uno sfondo che possa rendere più armonica l’inquadratura.

È un po’ come se provassimo a fare amicizia con il fatto di rivedere quelle espressioni facciali che a noi sembrano così buffe e improbabili certe volte, mentre per tutte le persone che sono abituate a vederci potrebbero essere assolutamente familiari.

Per concludere

La sintesi di questa puntata si potrebbe riassumere proprio con questo percorso in tre tappe:

1) avere una maggior consapevolezza del fatto che non è la webcam la causa del nostro imbarazzo, ma è la relazione con la webcam che ci crea imbarazzo;

2) quando diciamo che la nostra esperienza con la webcam non ci piace, è interessante scoprire in base a quale termine di paragone non ci piace, a qual è il nostro ideale, a quali sono le nostre aspettative di perfezione;

3) capire quanto il nostro imbarazzo di affrontare la telecamera dipenda dalla mancanza di abitudine a farlo, ad esempio: “Rifiuto questa esperienza a priori, perché non mi piace la mia faccia ripresa, la mia voce, le parole che uso, a prescindere”.

Tener conto di questi tre aspetti può esserci molto utile, poiché sappiamo che parlare alla webcam sta diventando di grande importanza sul lavoro e nella vita privata. Ogni giorno, attraverso le telecamere dei nostri computer, contattiamo colleghi e clienti, e diventa molto importante saperci relazionare in modo confortevole con questo strumento, per favorire il nostro comfort, ma anche quello di chi ci ascolta.

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Dott. Patrick Facciolo

Mi occupo di Public Speaking perché per me è importante che le persone si sentano ascoltate. Realizzo corsi individuali, aziendali e di gruppo, in presenza in tutta Italia e online attraverso Zoom. Diplomato al liceo classico, laureato in Scienze e tecniche psicologiche, in Filosofia e in Scienze politiche, master universitario di primo livello in Counseling relazionale nei contesti scolastici, educativi e socio-sanitari, sono iscritto all’Ordine degli Psicologi della Lombardia in qualità di Dottore in tecniche psicologiche per i contesti sociali, organizzativi e del lavoro. Da oltre quindici anni sono iscritto all’Ordine dei Giornalisti. Non amo la definizione di esperto di comunicazione e di esperto di Public Speaking, perché è una conquista da dimostrare sul campo, con le proprie competenze e i propri titoli. Apprezzo che mi venga detto, non lo sentirete dire da me. In questi anni ho pubblicato 9 libri, i più importanti dei quali sono “Crea immagini con le parole” (2013), “Parlare in pubblico con la mindfulness” (2019), e "Contro le metafore" (2022), disponibili su Amazon.
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