Il mio blog: le tecniche per parlare in pubblico

Parlare in pubblico per il semplice scopo di parlare in pubblico

Parlare in pubblico per il semplice scopo di parlare in pubblico

Ho appena letto questo articolo (che trovo ampio e interessante) sull’arte di parlare in pubblico. Sono rimasto un po’ perplesso su un aspetto, che ritorna spesso quando sento parlare di Public Speaking: l’idea di dover parlare in pubblico PER persuadere, PER convincere, PER realizzarci sul lavoro, eccetera.

È proprio l’aggiunta di quel “PER” che non mi convince fino in fondo: ci siamo mai chiesti se la finalità di parlare in pubblico possa essere semplicemente quella di parlare in pubblico, e basta?

Credo che si possa parlare in pubblico anche semplicemente condividendo informazioni e conoscenza, e non per forza per convincere qualcun altro a fare qualcosa (in molte aziende per cui faccio formazione da anni, nella maggior parte dei casi è proprio così).

Il fatto che spesso parlare in pubblico e persuadere diventino concetti sovrapposti, trovo non renda giustizia all’idea profonda del comunicare, cioè quella di “mettere in comune” dei contenuti.

Che poi quell’azione possa generare una risposta (positiva) dell’interlocutore alle nostre aspettative, è tutta un’altra partita. Una distinzione secondo me da tenere ben chiara, quando parliamo di Public Speaking a tutti i livelli.

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Come cambia il cervello con la meditazione

Come cambia il cervello con la meditazione

Nei video di questi ultimi mesi mi sono occupato molto di quanto sia importante la meditazione mindfulness per migliorare la nostra gestione dello stress da Public Speaking.

Già, ma in che modo la meditazione può cambiare effettivamente il nostro cervello? Numerosi studi dimostrano che le esperienze possono modificare nel corso del tempo la struttura cerebrale sulla base delle nostre esperienze, processo che in ambito neuroscientifico va sotto il nome di “neuroplasticità”.

In particolare, alcuni studi dimostrano che praticare la meditazione può ridurre le dimensioni dell’amigdala (una ghiandola posta all’interno del sistema limbico, una delle aree centrali nel cervello, in grado di determinare la nostra risposta emotiva, in particolare quella legata alla paura), e ispessire la corteccia prefrontale, determinante in alcune attività cosiddette “superiori”, tra cui la razionalità e le capacità attentive.

Attraverso una sintesi della cosiddetta “teoria dei tre cervelli” di Paul MacLean, l’utilizzo di un modellino e una breve rassegna di studi, in questa puntata – tratta dal mio intervento di venerdì sera alla Casa della Psicologia dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia – racconto come la meditazione è in grado di modificare il nostro cervello.

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Fonti:

  1. Taren AA, Creswell JD, Gianaros PJ (2013) Dispositional Mindfulness Co-Varies with Smaller Amygdala and Caudate Volumes in Community Adults. PLoS ONE 8(5): e64574.
  2. Lazar SW, Kerr C, Wasserman RH, Gray JR, Greve D, et al. (2005) Meditation experience is associated with increased cortical thickness. NeuroReport 16: 1893–1897.
  3. Eileen Luders, Florian Kurth, Emeran A. Mayer, Arthur W. Toga, Katherine L. Narr, Christian Gaser. The Unique Brain Anatomy of Meditation Practitioners: Alterations in Cortical Gyrification. Frontiers in Human Neuroscience, 2012

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Stress da Public Speaking e meditazione mindfulness

Stress da Public Speaking e meditazione mindfulness

È arrivato il grande giorno: questa sera alle 19.15 presenterò a Milano il mio ultimo libro, “Parlare in pubblico con la mindfulness” presso la Casa della Psicologia.

Per l’occasione in questo video vi propongo un estratto del mio intervento di alcuni giorni fa a Radio Bocconi, ai microfoni di Giulia Orsi.

Ci sono gli ultimissimi posti disponibili per questa sera: per richiedere l’iscrizione gratuita all’evento vai su https://patrickfacciolo.eventbrite.it

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La Self-compassion nel Public Speaking: saperci dire “Va bene così”

La Self-compassion nel Public Speaking: saperci dire “Va bene così”

In un mondo che ci chiede ogni giorno di “superare i nostri limiti”, di “metterci la faccia” sempre e comunque, di comunicare, comunicare, comunicare, in questo video cerco di lanciare un messaggio un po’ più morbido: se comunicare in prima persona spesso è più efficace, non è detto che tutti vogliano farlo con la stessa intensità.

Penso sia importante che ciascuno comunichi con la gradualità che gli è propria, senza per forza obbedire agli imperativi che ci arrivano dagli aforismi motivazionali che troviamo in rete, o dall’idea che comunque dobbiamo fare tutti le stesse cose.

 

Coltivare il proprio diritto a non esporsi

È importante comprendere è che non tutti sono a proprio agio nell’esporre sé stessi in questo modo. Ci sono molteplici ragioni per cui qualcuno potrebbe esitare a mettersi subito in mostra davanti al pubblico. Forse a causa delle proprie insicurezze, delle esperienze passate, o semplicemente perché sentono che non è giusto per loro.

Ecco perché, come comunicatori o divulgatori, è nostro dovere rispettare e comprendere queste scelte. Non dobbiamo forzare la gente a fare un salto dal non avere nemmeno una foto del profilo su Facebook al realizzare video in stile vlogger da un giorno all’altro. La gradualità, e la self-compassion, sono la chiave.

Ci servono più formatori che sappiano comunicare il messaggio per cui: “Va tutto bene, va bene così come sei. Da qui, possiamo crescere insieme”.

Ecco come dovremmo affrontare la comunicazione: con comprensione, pazienza e rispetto per le scelte individuali. E per noi stessi. Da qui, la parola self-compassion nel Public Speaking. Ne parlo in questo video.

 

Se sei interessat* a questo tema, ne parlo più approfonditamente nel mio libro del 2019, “Parlare in pubblico con la mindfulness”, disponibile su Amazon.

 

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