Il mio blog: le tecniche per parlare in pubblico

Da che parte dell’inquadratura deve stare l’intervistatore nelle video interviste?

Da che parte dell’inquadratura deve stare l’intervistatore nelle video interviste?

Da che parte dell’inquadratura dobbiamo stare quando intervistiamo qualcuno sul web, all’interno di un webinar oppure all’interno di un video da pubblicare sui social o su YouTube?

A sinistra, seguendo il senso di lettura, che va appunto da sinistra verso destra.

L’intervistatore sarà il primo a parlare, per questo la collocazione a sinistra dello schermo favorirà il senso di lettura: comincia l’intervistatore, e lo sguardo del mio ascoltatore si poserà naturalmente a sinistra. Poi parlerà l’intervistato, e lo sguardo si sposterà naturalmente a destra.

La risposta a domande come questa segue un criterio di senso: ciò che favorisce una fruizione più lineare e coerente da parte del nostro pubblico, è ciò che dovremmo mettere in pratica per rendere più efficace la nostra comunicazione.

Ricapitolando: in linea generale, il conduttore dell’intervista sta nella finestra a sinistra dello schermo. A destra sta l’intervistato, come ci insegna spesso anche l’esperienza televisiva.

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È giusto ringraziare il pubblico per le domande?

È giusto ringraziare il pubblico per le domande?

È giusto “ringraziare per la domanda”, quando il pubblico ci chiede qualcosa? In linea generale, sì. È un tema che mi è venuto in mente osservando l’imitazione che Maurizio Crozza fa di Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, che nelle sue conferenze stampa ringrazia sempre i giornalisti.

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Se c’è una sola persona ad ascoltarmi, sto facendo Public Speaking?

Se c’è una sola persona ad ascoltarmi, sto facendo Public Speaking?

Se durante un meeting c’è una sola persona ad ascoltarmi, sto facendo Public Speaking? Dipende dal ruolo del mio interlocutore, e dal luogo in cui ci troviamo (ad esempio l’ufficio).

Come ci ha insegnato il sociologo Erving Goffman, la vita è fatta di situazioni di “ribalta” e di “retroscena”, e ciascuno di noi mette in scena dei ruoli in base alle circostanze.

Se viviamo quell’incontro a due come un’occasione di “ribalta”, in cui mettiamo in scena una qualche forma di rappresentazione, bene, allora anche quel singolo interlocutore potrà diventare il mio pubblico, e starò facendo Public Speaking.

Se al contrario il contesto sarà di “retroscena”, ovvero metterò in atto col mio interlocutore comportamenti più confidenziali, di équipe, potrebbe non esserci, in senso stretto, Public Speaking.

Questo, per il semplice fatto che non starò considerando il mio interlocutore come “pubblico”, ma starò cooperando con lui per creare una successiva rappresentazione (è il caso in cui lavoriamo con un collega a un progetto da presentare, questa volta sì, a un pubblico specifico).

Sintetizzando, possiamo dire che a determinare la natura del Public Speaking non è tanto il numero di persone che ho davanti, ma il ruolo specifico che assumerà l’interlocutore rispetto a me.

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Parole che non si capiscono: il “cruscotto informativo”

Parole che non si capiscono: il “cruscotto informativo”

Anche questa settimana la politica ci regala parole che non si capiscono. Questa volta è il turno del “cruscotto informativo“, proposto dal Ministero dell’Istruzione in vista della riapertura delle scuole.

Leggo sul Messaggero: “Nella nuova bozza scuola si prevede l’utilizzo di un cruscotto informativo che segnalerà le criticità nelle aule, e ci sarà un coordinamento in cabina di regia Covid con le Regioni“.

Ma che cosa sarebbe, di grazia, un “cruscotto informativo”?

Secondo Treccani, un cruscotto è:

Nei veicoli a trazione animale, riparo di cuoio posto presso il parafango per riparare il cocchiere dagli spruzzi. Nei veicoli a motore terrestri e aerei, e in alcuni tipi di natanti (motoscafi e simili), quadro o pannello in cui sono raccolti gli strumenti di controllo, ed eventuali organi di comando“.

Ora, se scegliamo di usare la parola cruscotto per comunicare significati diversi da questi, stiamo utilizzando una metafora. Non chiara.

Se fermassi un passante in mezzo alla strada e gli chiedessi: “Lo sa che il Ministero dell’Istruzione sta pensando a un cruscotto per l’apertura delle scuole?”, ecco, non mi stupirei se pensasse al contachilometri della sua macchina. E avrebbe pure ragione.

Basterebbe chiamare le cose con il loro nome, e sarebbe tutto più facile.

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