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Il discorso di Michelle Obama alla convention dei democratici

Il discorso di Michelle Obama alla convention dei democratici

Si è conclusa da poche ore la prima serata della convention democratica per l’investitura ufficiale di Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti d’America. È la prima volta nella storia che questo evento non si svolge in presenza di pubblico, per via delle limitazioni legate alla pandemia di coronavirus.

Come funziona la convention virtuale dei democratici?

Cominciamo da questo: come risolvere il problema del pubblico assente, e realizzare comunque una convention efficace? Facendo apparire all’interno tante, tante persone: attivisti, militanti, personaggi di rilievo, politici e persone comuni. Più persone vedo sullo schermo, meno mi sento solo, più persone vedo, più percepisco che sono davanti a un evento collettivo e sento di farne parte.

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La comunicazione di Michelle Obama: linguaggio statico e di processo

La comunicazione di Michelle Obama: linguaggio statico e di processo

 “Ho a che fare con una lieve forma di depressione”: queste le parole che Michelle Obama ha usato poche ore fa nel suo podcast, disponibile su Spotify.

Non ha detto “I’m depressed” (“sono depressa”) ma “I’m dealing with some form of low-grade depression”, ovvero: “ho a che fare con” una lieve forma di depressione, appunto.

Sembra una sfumatura, ma fa molta differenza: se Michelle Obama avesse detto “sono depressa”, il suo linguaggio avrebbe suggerito immediatamente un’identificazione con quell’esperienza.

Dicendo invece “ho a che fare con” la depressione, ha dato una descrizione specifica di quello che le sta accadendo, non di quello che lei “è”.

La psicologia ci insegna la distinzione tra il linguaggio statico (che fa ampio uso del verbo essere), e il linguaggio di processo (che descrive ciò che ci accade in maniera fluida, più dinamica).

L’esempio di Michelle Obama sensibilizza il pubblico su un tema molto delicato: sì, anche lei ha a che fare con la depressione, e sì, per descriverlo non serve usare per forza il verbo essere.

Insegna così alle persone che esistono modi diversi per descrivere i propri stati interni, senza necessariamente dover “diventare” quello che proviamo.

Una grande lezione di comunicazione, che passa attraverso una piccola sfumatura di linguaggio.

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