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Comunicare senza il verbo essere: una sfida possibile?

Comunicare senza il verbo essere: una sfida possibile?

“Non sono capace di parlare in pubblico”: ecco una frase che mi capita di sentire spesso durante i corsi di Public Speaking che tengo in tutta Italia. Ma siamo davvero certi che questa soluzione linguistica descriva in modo accurato la nostra effettiva capacità di fare Public Speaking?

Negli anni ’60, i teorici di E-Prime (English Prime) hanno postulato la possibilità di una lingua inglese che potesse fare a meno del verbo “essere”: si sono dati come regola quella di descrivere la realtà in maniera più precisa, non limitandosi a indicare le cose come “sono”, bensì come “ci appaiono”.

All’interno del mio libro, “Parlare in pubblico con la mindfulness”, che ho presentato recentemente presso la sede dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia, faccio alcuni esempi sugli effetti che potrebbe avere limitare l’uso del verbo essere quando ci occupiamo di Public Speaking.

Ecco allora che la frase “Non sono capace di parlare in pubblico” potrebbe diventare improvvisamente: “Nelle due occasioni in cui ho parlato in pubblico di fronte a una platea numerosa, ho avvertito stress”.

Un passaggio che può apparirci solo formale e terminologico, ma che al contrario può regalarci una serie di osservazioni inedite sulle nostre (reali) capacità di parlare in pubblico.

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L’importanza di comunicare perché nessuno si senta escluso

L’importanza di comunicare perché nessuno si senta escluso

Ieri sono intervenuto in una lezione del Prof. Alessio Beltrami di Teoria e tecnica dei nuovi media all’Università degli Studi di Milano Bicocca. Ho parlato di comunicazione, di media tradizionali e nuovi media, e ovviamente di Public Speaking.

Ho mostrato agli studenti alcune statistiche sul tasso di alfabetizzazione in Italia (riferite ai titoli di studio e alle competenze informatiche), e sono tornato ad affrontare il tema della comunicazione nella sua accezione più ampia, quella di “mettere in comune”.

Tornando a ribadire, come faccio da anni sui miei libri e nelle mie attività divulgative, l’importanza di glossare, di tradurre i concetti – specialmente quelli che riguardano il mondo di internet.

Tutto questo allo scopo di coinvolgere tutto il pubblico all’ascolto, facendo in modo che nessuno si senta escluso dalla nostra comunicazione.

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Come usare tono e volume di voce quando parliamo in pubblico

Come usare tono e volume di voce quando parliamo in pubblico

Spesso pensiamo che in un discorso in pubblico il tono e il volume della nostra voce possano essere pretedeterminati al 100%, scegliendo in anticipo tutti i passaggi da sottolineare di più.

Ma siamo proprio sicuri che sia possibile determinare tono e volume in anticipo? E in ogni caso, se anche fosse possibile, si tratterebbe di una forma di comunicazione del tutto autentica?

Se definiamo a monte i passaggi di un discorso in cui usare un certo tono e un certo volume con precisione millimetrica, potremmo finire per non tenere in considerazione il contesto e la relazione col nostro pubblico, che scopriremo solo una volta sul palco.

Alla stessa maniera, tono e volume di voce possono aiutarci a esprimere le emozioni che proviamo, e che decidiamo di condividere col pubblico. Ma come facciamo a sapere a priori quali emozioni proveremo in un determinato momento?

Ancora una volta, quando si tratta di arte di parlare in pubblico, possiamo sì provare un discorso e ipotizzare degli scenari possibili, ma soltanto una volta davanti al pubblico potremo effettivamente relazionarci con l’imprevedibilità della comunicazione.

E solo in quel momento potremo scegliere con maggiore consapevolezza il tono e il volume di voce più adeguati.

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Perché non chiedere a un ospite: “Sei emozionato?”

Perché non chiedere a un ospite: “Sei emozionato?”

Durante una presentazione in pubblico può capitare di introdurre un ospite, e di accoglierlo con la frase: “Sei emozionato?”.

In questa puntata sottolineo l’importanza di rispettare lo stato interno del nostro ospite: le emozioni sono qualcosa di privato, e non è detto che il nostro interlocutore voglia necessariamente condividerle con tutta la platea.

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