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Tagged ‘Mindfulness Parlare in pubblico‘
Comunicare senza il verbo essere: una sfida possibile?

Comunicare senza il verbo essere: una sfida possibile?

“Non sono capace di parlare in pubblico”: ecco una frase che mi capita di sentire spesso durante i corsi di Public Speaking che tengo in tutta Italia. Ma siamo davvero certi che questa soluzione linguistica descriva in modo accurato la nostra effettiva capacità di fare Public Speaking?

Negli anni ’60, i teorici di E-Prime (English Prime) hanno postulato la possibilità di una lingua inglese che potesse fare a meno del verbo “essere”: si sono dati come regola quella di descrivere la realtà in maniera più precisa, non limitandosi a indicare le cose come “sono”, bensì come “ci appaiono”.

All’interno del mio libro, “Parlare in pubblico con la mindfulness”, che ho presentato recentemente presso la sede dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia, faccio alcuni esempi sugli effetti che potrebbe avere limitare l’uso del verbo essere quando ci occupiamo di Public Speaking.

Ecco allora che la frase “Non sono capace di parlare in pubblico” potrebbe diventare improvvisamente: “Nelle due occasioni in cui ho parlato in pubblico di fronte a una platea numerosa, ho avvertito stress”.

Un passaggio che può apparirci solo formale e terminologico, ma che al contrario può regalarci una serie di osservazioni inedite sulle nostre (reali) capacità di parlare in pubblico.

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Public Speaking: stare con le sensazioni dell’applauso

Public Speaking: stare con le sensazioni dell’applauso

Preparare il nostro discorso in pubblico richiede molto tempo e impegno, dalla preparazione delle slide, alla scaletta del nostro intervento.

Arrivati alla fine del nostro discorso, riceviamo l’applauso: è in quel momento che, spesso, ci allontaniamo dal palco con rapidità, e non lo viviamo fino in fondo.

In questo video sottolineo l’importanza di “stare con” le sensazioni, le emozioni e i pensieri che ci evoca l’applauso, un momento prezioso in cui il pubblico ci sta esprimendo la sua gratitudine.

Se vuoi saperne di più su questo tema, scopri il mio libro “Parlare in pubblico con la mindfulness”:

Data di pubblicazione: 12 gennaio 2019
ISBN : 978-1730878930
Formato : 15×23
Foliazione : 117 pagine
Copertina : Morbida
Stampa : bianco e nero
Prezzo: Euro 19,99

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Public Speaking: coltivare il diritto di sentirsi stanchi

Public Speaking: coltivare il diritto di sentirsi stanchi

L’esperienza di parlare in pubblico non è neutra: quando dobbiamo affrontare un discorso spesso ci portiamo dietro la stanchezza dei giorni precedenti, e non sempre conduciamo la presentazione come vorremmo.

Così come quando pubblichiamo dei contenuti online, ci eravamo dati una scadenza e un calendario predeterminati, ma non riusciamo a rispettarli.

In questa puntata mi occupo di quanto è importante coltivare il diritto di sentirci stanchi, e di svolgere delle performance da comunicatori al di sotto delle nostre aspettative.

Perché nel Public Speaking (e nella comunicazione online) non è necessario essere per forza dei supereroi, per comunicare comunque con efficacia.

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Consapevolezza e comunicazione: la differenza tra “è bello” e “mi piace”

Consapevolezza e comunicazione: la differenza tra “è bello” e “mi piace”

Di ritorno dalla settimana di Sanremo, in queste ore ho letto spesso frasi del tipo “questa canzone è bella”, “questa canzone è più bella di quest’altra”. Si tratta di affermazioni che ci possono far riflettere sull’uso che facciamo abitualmente del linguaggio per descrivere le cose.

In questo senso: siamo proprio sicuri che una canzone si possa definire “bella” o “brutta” in assoluto? O forse, prima di attribuirle un aggettivo che la descrive in maniera così definitoria, avrebbe più senso dire che “ci piace” o “non ci piace”, sulla base della nostra particolare e circostanziata visione attuale del mondo?

Questa seconda via, apre spazio alla nostra soggettività: una canzone che oggi ci piace, domani potrebbe non piacerci più. E allo stesso tempo, una canzone che “ci piace”, ci dà lo spazio per cogliere e descrive il limite per cui potrebbe non piacere a qualcun altro.

Il linguaggio può portarci a descrivere in maniera statica la realtà, o permetterci una descrizione più accurata e precisa, per cui diventiamo in prima persona protagonisti dei nostri verbi e della nostra relazione con le cose.

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